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COSA DICONO DI LEI

 

1° Finestra

“Angela Nanetti é una scrittrice di autentica vocazione, che sa parlare ai lettori di ogni età e che persegue, fuori da mode e correnti, una ricerca tesa a eliminare ogni barriera di genere. Il suo percorso ormai ventennale, cominciato nel 1984 con “Le memorie di Adalberto” é costellato di romanzi tradotti in molti paesi, capaci di scavare in quelle zone della psiche dove si radicano e sedimentano i sentimenti più vari dell’umano. Con ampiezza di registri, in storie di forte tenuta narrativa, Angela Nanetti porta la lingua nella terra di confine in cui possono vivere insieme l’aderenza alle cose e la tensione evocativa. Il suo é così un linguaggio essenziale, capace di venarsi all’improvviso di intense accensioni liriche e di cogliere l’intima trascolorare dei sentimenti…”

Daniela Marcheschi

(Lucchese, ha insegnato in diverse università italiane e straniere, fra cui Uppsala e Salamanca. Attualmente insegna “Antropologia delle arti” a Perugia ed è consigliere permanente nella Fondazione Nazionale Carlo Collodi e della redazione di “Kamen”, rivista di poesia e filosofia. Nel 1996 ha ricevuto un Rockfeller Award per la critica e la poesia, e nel 2006 il premio dell’Accademia di Svezia.)

 

2° FINESTRA

Passano gli anni e sempre più acquista consistenza ai miei occhi quel verso di Guido Gozzano che recita “adoro le date. Le date: incanto che non so dire”: la ragione sta per me nel fatto che molte date degli ultimi trentacinque anni risultano legate a volti, città, nomi, titoli, sigle editoriali della nostra letteratura per l’infanzia. Che quando non era ancora il caravanserraglio di oggi (centinaia di novità, occhio teso al “colpo grosso” sul mercato, critici improvvisati sull’attualità senza troppa cultura di fondo, pletora di rapidissimi dibattiti sulla lettura…) consentiva di leggere i libri, conoscere da vicino gli autori e di riflettere su trame e stili separando, magari con la “faziosità” della passione, il grano dal loglio. Dall’incanto delle date estraggo 1984 e prendo in mano la prima edizione di Le memorie di Adalberto inserita con le illustrazioni di Federico Maggioni nella collana “Le Letture” della EL, che fu la prima collana di tascabili (tutti dai autori italiani) ed ebbe l’intelligenza di proporsi divisa per fasce di competenza dei lettori e non di età anagrafica: il libro mi dà una certa emozione, non solo perché so che non fu facile ad Angela pubblicarlo, ma anche perché vi ritrovo oggi la stessa freschezza di ieri lo stesso sguardo lucido ma partecipativo che le ha consentito nel corso degli anni di darci sempre “personaggi” e non “macchiette”, di farci pensare e non sprofondare nel sogno della ragione.

Qui però non voglio costruire un percorso critico intorno alla produzione di Angela, voglio solo prendere atto che le buone promesse del libro sono state nel corso degli anni tutte mantenute: quando ho letto per la prima volta Mio nonno era un ciliegio non ho dovuto attendere i numerosi e meritati riconoscimenti ottenuti per rendermi conto di trovarmi davanti a un capolavoro; nel libro non vedevamo solo il mondo con gli occhi di un bambino (dote già indiscutibile davanti ai tanti “costruttori” di artefatte), ma trovavamo anche la possibilità di emozionarci ancora, ci aprivamo anche al fatto che i nostri occhi adulti non fossero del tutto chiusi all’infanzia.

E anche quando Nanetti mi ha condotto nella realtà dura di adolescenze drammatiche e violate (penso in particolare a Cambio di stagione, Guardare l’ombra e a Randagi senza escludere però Mistero sull’isola) ho sentito sempre forte, attraverso una straordinaria misura letteraria, il senso di una rinascita, il dovere di esserci e di testimoniare. Che Nanetti transiti dai libri per piccolissimi a romanzi per “nuovi adulti”, dal realismo alla dimensione magica o all’inserzione di voci che raccontano come in Era calendimaggio, costituisce poi un’ulteriore dimostrazione che le buone strutture narrative da sole non bastano e che la leggerezza della scrittura e l’impegno formale sono frutto di ricerca continua, di autentico rispetto del lettore sia esso piccolo o grande.

Pino Boero

Professore ordinario di Letteratura per l’infanzia e preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova.

 

3° FINESTRA

Volevo iniziare la mia e-mail con “Cara Angela” perchè,malgrado lei non mi conosca, io la sento a me molto vicina, cosi come sento molto vicini tutti gli autori che, con le loro parole, mi hanno raggiunto, parlato ,fatto capire qualcosa di me stessa e del mondo. Il motivo per cui le scrivo é davvero banale e questa sarà l’ennesima lettera di questo tipo che riceve, ma sento davvero il bisogno di scriverle .leri, rovistando tra i miei vecchi libri di quando ero bambina ,ho ritrovato la mia copia di “Mio nonno era un ciliegio”. Averlo tra le mani dopo diverso tempo mi ha fatto provare sensazioni meravigliose…ho ricordato me stessa al tempo in cui lo lessi per la prima volta, non avevo neanche 7 anni e il mio adorato forte e allegro nonno stava scomparendo lasciando al suo posto un estraneo iroso, terrorizzato, infantile, delicato…insomma l’Alzheimer se lo stava portando via. Quel libro mi fu d’enorme conforto ,lo lessi fino allo sfinimento consumandolo letteralmente, leggendo di quel bambino così simile a me ,con nonni così simili ai miei nonni, con due genitori così simili al mio papà e alla mia mamma… .dentro quelle pagine mi sentivo a casa e capivo che nei legami c’è qualcosa di speciale che resta a discapito di tutto. Oggi ho 20 anni, dopo aver letto il suo libro sono un pò cresciuta e con l’inizio delle superiori i miei libri da bambina hanno lasciato il posto ai romanzi per adulti tra i quali ho trovato altri fantastici compagni di viaggio. Il tempo è passato e non ho più pensato a quel libro, poi, come ho già scritto,l’ho ritrovato ed è stato Incredibile trovare immutate dentro di me le sensazioni che avevo provato leggendolo per la prima volta. L’ho riletto immediatamente, per l’ennesima volta e ora sono qui a tentare di spiegarle quanto importante sia stato per quella bambina il suo racconto,a tal punto che anche la ragazza che poi quella bimba è diventata trova tuttoggi in esso la stessa meraviglia- La volevo solo ringraziare,di tutto cuore.

Isabella

“Anche mio nonno era un ciliegio” (lunedì 5 novembre 2012)

 

4° FINESTRA

Egregia Dottoressa Nanetti,
Spero questa mail La trovi bene.
Mi chiamo Ayu Niijima.
Volevo soltanto ringraziarLa, per avermi motivata nello studio della lingua italiana, per avermi aperto un nuovo mondo e per avermi fatto scoprire il fascino della letteratura italiana.
Sono nata e cresciuta in una piccola città fuori da Tokyo. Quando avevo 7 anni, mio nonno mi regalò il Suo libro, “mio nonno era un ciliegio” e me ne innamorai. Divoravo ogni pagina, ogni giorno. Soprattutto ero molto curiosa del sapore di “zabaione” che all’epoca non era ancora stato introdotto in Giappone.
Pur crescendo, il Suo libro rimaneva sempre il mio preferito e mano a mano ho iniziato a volerlo leggere in lingua originale. Così ai miei 18 anni, decisi di studiare la lingua italiana all’Università e mi laureai in italianistica.
La lingua italiana mi ha aperto la porta per un nuovo mondo. Mi ha regalato tante belle esperienze, tra cui lavorare in Ambasciata del Giappone a Roma, scrivere la tesi sulla dialettologia napoletana, ma il mio maggior pregio è quello di saper leggere tutti i Suoi libri, compresi anche quelli ancora non tradotti in giapponese.
Le Sue descrizioni sulla vita, i rapporti umani visto dal punto di vista dei bambini, mi fa sempre commuovere. Sono passati più di 10 anni dalla laurea triennale, ma sto studiando ancora la lingua per poter tradurre le Sue opere e pubblicarle in Giappone.  Vorrei un giorno, regalarLe uno dei Suoi romanzi tradotto e pubblicato da me.
Volevo concludere questa mail dicendo che il suo libro “mio nonno era un ciliegio” è un libro che viene letto da tanti bambini giapponesi, creando empatia, nostalgia e tante altre emozioni.
Nella speranza di poterla vedere per ringraziarla di persona, porgo i miei cordiali saluti.
Ayu Niijima
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